Nella tragica notte del 12 novembre l’eco delle sirene di piazza San Marco risuonava cupa nei negozi allagati, nei ristoranti dove si cercava febbrilmente di spostare elettrodomestici, salvare alimenti, bottiglie, libri e ricordi dalla marea che avanzava inesorabile.

Superava con facilità barriere che nessuno aveva pensato dovessero sostenere quegli incredibili 187 centimetri di acqua alta. Il violento scirocco che di questa era responsabile schiantava sulla Riva del Schiavoni le onde di una tempesta che penetravano fin dentro ai canali, trasformavano le calli in ruscelli, le corti in piccoli laghetti squassati dalle correnti. Insieme ai vigili del fuoco e alla Protezione Civile c’erano anche gli operatori Enel in quella notte terribile e in quelle che seguirono, perché quelle bizzarre sirene suonarono altre tre volte nelle settimane successive. 

L’emergenza era anche la loro, pronti a partire dalla centrale operative nei pressi di Piazzale Roma, sale piene di elmetti, giubbotti salvagente pronti ad essere indossati, scale ed attrezzi da caricare sulle resistenti lance arancioni ormeggiate sui pontili di fronte, sconvolti dal vento, dalle onde, dalla pioggia. Pronte per interventi per necessità rapidi ma difficili, perché la bufera aveva reso la laguna veneta pericolosa, i pochi vaporetti che non erano riusciti a tornare in tempo in difficoltà tra le onde, uno perfino scaraventato su di un ponte della riva degli Schiavoni. 

Difficile muoversi in barca, quasi impossibile a piedi per le calli di una città resa irriconoscibile anche agli occhi di una popolazione abituata a quella strana normalità che è l’acqua alta. Un lavoro però necessario per contenere un’emergenza che ha inflitto danni incommensurabili all’economia, alla vita e al patrimonio artistico di una Venezia già vittima della sua innata fragilità. Tra tutti i sistemi la rete elettrica ha subito però i danni minori, gli interventi richiesti alla fine sono stati complessi ma limitati. C’è l’aver imparato una lezione importante dietro a questo successo: quella dell’acqua alta del 1966 e dei suoi 194 centimetri di marea – tuttora il valore più alto mai registrato. Mentre Venezia cercava di riprendersi dal più duro colpo che le è stato mai inflitto, nel ripristino della disastrata rete elettrica si pensava non solo al presente, ma anche al futuro, alzando centraline, trasformatori, rendendo impermeabili le linee perché il sistema potesse resistere anche a un acqua alta che arrivasse ai due metri. 

Una lezione di adattamento ante litteram che potrebbe diventare parte di quella ricetta per l’adattamento che Venezia sta disperatamente cercando per affrontare il cambiamento climatico alle sue porte.