

Cromarty è un piccolo paese di pescatori come tanti altri in Scozia, affacciato all'imboccatura di un firth e circondato dalla selvaggia brughiera delle Highlands. Il villaggio prende vita vicino all'acqua: alcuni ragazzi salgono su una vecchia barca a remi per una mattinata di canottaggio, altri si dirigono verso le barche a vela ormeggiate a pochi metri dalla riva. Un gommone pieno di turisti si dirige verso il mare aperto, con la speranza di scorgere i delfini che vivono nell’area. Un luogo da villeggiatura, se non fosse per le gigantesche piattaforme petrolifere che dominano il fiordo.
La storia di Cromarty è una di quelle che meglio esemplificano la travagliata parabola dell'industria petrolifera scozzese. Il cantiere petrolifero di Nigg, dal lato opposto del fiordo, fu dal 1972 e per i successivi vent'anni uno dei centri nevralgici per la costruzione e la manutenzione delle piattaforme petrolifere del Mare del Nord; le acque del Cromarty Firth pullulavano di questi giganti di acciaio e cemento. In quegli anni il villaggio si riempì di case, negozi ed infrastrutture, e sembrava che il petrolio del Mare del Nord non dovesse finire mai. Così non fu: a cavallo del nuovo millennio il settore petrolifero scozzese entrò in crisi profonda – e non ne uscì più.
Inaspettatamente, però, le piattaforme non scomparvero dal fiordo con il declino del settore petrolifero e la chiusura del cantiere di Nigg. Alla fine degli anni Novanta, infatti, l’autorità portuale di Cromarty iniziò ad utilizzare il firth come un gigantesco magazzino nel quale stoccare temporaneamente le piattaforme in disuso, in attesa che venissero vendute o smantellate altrove.
“Da quel momento non se ne sono più andate” afferma Greg Fullarton, biologo membro di Cromarty Rising, un'associazione che conduce un'aspra battaglia ambientale per liberare il fiordo dalle piattaforme. “Molte sono qui da anni, perché i proprietari non sanno cosa farsene” continua Greg, mentre ci guida sulla sua barchetta proprio sotto questi mostri d'acciaio. “Questi pilastri, ad esempio, sono dieci anni che sono qui, tanto che ora ospitano una colonia di uccelli. Quelle lì invece” conclude, indicando due strutture in lontananza “ce le abbiamo da due anni. Sono state sequestrate e portate qui. Chissà se ne andranno mai”.
Le piattaforme a Cromarty sono, prima di tutto, un serio problema ambientale. Nel giugno 2019, per esempio, un impianto semi-sommergibile ancorato nel fiordo ha rilasciato nuvole di agenti chimici proprio nell'area dove un branco di duecento delfini vive, si nutre e si riproduce. La conservazione dei cetacei è perennemente a rischio, e lo sarebbe stato ancora di più se l'associazione non fosse riuscita a bloccare – seppur temporaneamente – i trasferimenti di petrolio ship-to-ship.“Un tubo sospeso tra due navi all'ingresso del fiordo avrebbe trasferito ogni anno otto milioni e mezzo di tonnellate di petrolio, anche durante le tempeste invernali” afferma Duncan Bowers, uno dei fondatori di Cromarty Rising.“Il più piccolo sversamento avrebbe distrutto un intero ecosistema.”
Ma le piattaforme sono un problema anche per l'industria del turismo, la cui crescita è frenata dall'impatto paesaggistico degli impianti. Secondo Jacquie Ross, anche lei di Cromarty Rising, con le piattaforme – la cui permanenza nel fiordo frutta all'Autorità Portuale circa due milioni di sterline l'anno – il villaggio farò fatica a rilanciarsi. “Sono grata all’industria petrolifera, perché eravamo poveri, eravamo un villaggio isolato di pescatori ed agricoltori e ora non lo siamo più. Ma i tempi sono cambiati, e così Cromarty” conclude.
“Non abbiamo più bisogno del petrolio: è ora che lo capiscano anche loro.”