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Dove tutto finisce, dove tutto comincia
Il Po

“Qui nasce il Po” è tutto quello che c’è scritto sulla targa davanti a me. C’è una piccola bandiera italiana disegnata davanti e, sopra, una croce di San Giovanni, simbolo un po’ anacronistico, un po’ nostalgico della casa Savoia. Tutto qui: non c’è nient’altro a segnalare le sorgenti del Po, che sgorga come un piccolo rigagnolo da sotto un grosso masso.

Dell’origine del Po ne parla Stefano Fenoglio, professore dell’università di Torino, ricercatore sull’impatto del cambiamento climatico sui sistemi fluviali. Studia lo stato di salute dei corsi alpini e l’impatto delle trasformazioni ormai radicate e irreversibili del clima su questi ecosistemi. “Questi corsi d’acqua e la loro flora e fauna si sono sviluppati in un clima che possiamo considerare alpino. Sta sparendo, o forse è già sparito, diventando tropicale o mediterraneo” dice Stefano, mentre ci allontaniamo dalle sorgenti sotto lo sguardo dell’imponente Monviso e, quasi a contraddirlo, il paesaggio montano si tinge dell’erba e del muschio della torbiera, quasi fossero quelle della gelida steppa siberiana.

Un netto contrasto tra un clima che sta mutando a una velocità a cui il resto del mondo non riesce a tenere testa. Stefano aggiunge che in una fiumara calabrese, che per mesi può essere completamente arida, ci sono insetti che passano parte del proprio ciclo vitale come esseri acquatici, parte come volanti, ma che qui gli organismi altamente specializzati si sono evoluti per vivere in un sistema di fiumi perenni. Se non c’è acqua, semplicemente muoiono in massa. “Mi ricordo che analizzavamo corsi d’acqua alpini che sono ora più puliti di come mai lo sono stati nel secolo scorso, e che erano terribilmente poveri di vita. Ci domandavamo perché; alla prima siccità abbiamo capito il motivo. Alcuni fiumi, andando per la prima volta nella loro vita millenaria in secca, hanno perso più di metà degli organismi che ci vivevano.”

Arriviamo a fondo valle e lì troviamo il Po, adesso già un fiumiciattolo abbastanza ampio, pieno di cinquanta, sessanta ragazzi che ascoltano, prendono note, raccolgono campioni chi sulla riva, chi nell’acqua fino alle ginocchia. Grazie alla sua determinazione e all’aiuto di Francesca Bona, anche lei professoressa dell’Università di Torino, è riuscito a portare tre entusiastiche classi di studenti triennali, resi ancora più eccitati dalla grandezza del gruppo e dall’inaspettata giornata di sole.

Sono studenti di biologia e di altre tre facoltà, che cercano di imparare quell’analisi dello stato di salute del fiume che è stata chiave per la ricerca di Stefano sul cambiamento climatico negli ultimi sedici anni. Raccolgono i dati necessari a capire non solo le trasformazioni in corso e il loro impatto, ma anche il nuovo equilibrio che potrebbe assumere il fiume. In altre parole, la nuova normalità in cui loro, ragazzi poco più che ventenni, dovranno vivere. Stefano vuole fornirgli quanti più strumenti possibili: insieme con i suoi colleghi, è riuscito a ottenere dei fondi europei per ristrutturare alcune antiche case di montagna a Ostana e aprire così l’Alpstream, un centro di ricerca per lo studio dei fiumi alpini. Aprirà a breve; per il momento le lezioni si dividono però tra l’università e il Po.

Raggiunti gli studenti alla fine Stefano si scusa e dice che ci deve lasciare, perché deve tenere la sua lezione. Si infila così delle galosce alte fino all’inguine e si immerge in Po, iniziando una spiegazione sugli indicatori biologici così chiara, approfondita e appassionata che gli studenti rimangono inchiodati a guardarlo. È merito di Stefano, che si rivolge a loro con una passione unica, come se fossero la migliore speranza che abbiamo per affrontare la catastrofe di cui ha parlato finora.

E non a torto.



Un gruppo di studenti, guidati da Stefano Fenoglio, intenti a raccogliere campioni d'acqua da analizzare
Un gruppo di studenti universitari intenti ad analizzare l’acqua recuperata presso la sorgente del Po a Crissolo, nel Parco Naturale del Monviso.
Veduta aerea del Parco Naturale del Monviso

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