

Un’imbarcazione del consorzio di pescatori si muove con lentezza, controllando che tutto stia procedendo secondo il regolamento; queste sessioni di pesca sono riservate ai soci del consorzio e organizzate periodicamente in base alla domanda di vongole del mercato locale e italiano. Ogni socio ha una quantità massima che può raccogliere per la mattinata (oggi sono venti chili) e un prezzo che varia a seconda del periodo; gli anni difficili della pesca alle vongole sono passati – negli anni ’90 la lotta ai pescatori abusivi e gli scontri tra cooperative rivali causarono diversi morti – ma gli interessi sono ancora forti, perché si tratta di una delle attività più redditizie di un Delta dove la pesca diventa sempre più difficile. Ecco perché, al fischio dei responsabili del consorzio, la quiete diventa caos, il borbottare dei diesel diventa un ruggito mentre si accendono i rastrelli a motore che risucchiano le vongole dal fondale fino alle casse sulla barca, dove uno o due persone operano una prima cernita, eliminando i molluschi troppo piccoli.
Fabrizio Boscolo, pescatore e presidente della cooperativa, termina insieme agli altri la raccolta, consegna la propria quota al porto di Pila, nell’estremo Delta, per tornare al piccolo capanno lì vicino dove tiene la propria barca, nascosta dalla boscaglia quasi fosse quella di un contrabbandiere. “Per fortuna abbiamo investito nelle vongole. Non ci sarebbe rimasto nulla altrimenti” dice Fabrizio, ormeggiando. “Noi il Delta lo stiamo perdendo.” Fabrizio è letteralmente nato e cresciuto tra i giunchi del Po, quando ancora questa zona era abitata da una popolazione quasi aliena rispetto tanto al mondo di oggi, che agli anni ’50 e ’60, i decenni in cui la subsidenza causata dall’estrazione del metano fece abbassare il Delta di due metri, di fatto sommergendo i villaggi e le aziende agricole dell’area.
La famiglia di Fabrizio è stata una delle ultime ad andarsene, ma per spostarsi di pochi chilometri, al porto di Pila nell’estremo Delta. Da lì ha visto l’evoluzione della foce negli ultimi cinquant’anni, e di questa trasformazione lui non ne è felice: si lamenta che è diventato tutto meno prevedibile, che il cambiamento climatico rende una vita, quella sul Delta, pericolosa e quasi impossibile. Quando, la settimana precedente a quella della raccolta delle vongole, una tromba d’aria ha fatto grossi danni a Milano Marittima e sull’Adriatico, anche Pila era devastata dalle raffiche, i pochi pescatori in uscita tremavano per venti forti come mai prima di allora. Le acque alte (che colpiscono il Delta e a Chioggia quasi come a Venezia), superavano il pontile del porto due o tre volte all’anno, dice Fabrizio, ma adesso succede anche quindici volte, e sostiene quindi che bisognerà alzare le strutture, spendere per l’adattamento con una rapidità e una decisione che ancora mancano a molti.
La discussione sull’adattamento al cambiamento climatico nel Delta è in effetti ancora agli inizi, ma gli interventi necessari dovranno essere molti: non bisognerà solo pensare in maniera tradizionale a infrastrutture di cemento, a dighe e barriere, ma anche al “building with nature”, alla comprensione e allo sfruttamento dei processi naturali per contrastare l’innalzamento delle acque, le precipitazioni estreme.
Un punto di vista innovativo, che si sta diffondendo in paesi come l’Olanda, ma che in fondo è stato il principio guida della vita degli uomini del Delta lungo tutta la loro storia.