

“Ricorda la rivalità tra le guardie e i fiocinini, i pescatori di anguille di frodo” dice Emanuele Luciani, trentaseienne guida delle valli di Comacchio, che ha vinto la regata per due anni di seguito e ha deciso di prendersi una pausa quest’anno perché si è da poco sposato. Parla di un mondo in cui la pesca, ma soprattutto l’anguilla, che della cittadina è simbolo e risorsa principale. O meglio, lo era, perché il cambiamento climatico la sta spazzando via: tra meno di dieci anni potrebbe non esserci più nessuna anguilla, né sulle tavole, né nelle lagune del Delta.
L’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura la indica come “In Pericolo Critico” (Critically Endangered) nella sua tristemente famosa lista rossa; è il gradino precedente all’estinzione, ora drammaticamente vicina per l’anguilla europea. In trent’anni il numero degli individui è crollato del 90%, ma i dati sono pochi e la situazione potrebbe essere ancora peggiore. La mangiamo in umido, alla griglia, con la polenta, è la protagonista di sagre e cene imponenti, la mettiamo in scatola e la vendiamo in tutta Europa senza troppi sensi di colpa, ma in confronto la sua sopravvivenza è molto più a rischio di quella della tigre del Bengala o del panda maggiore. Le cause sono numerose – pesca eccessiva, inquinamento delle acque – ma è il cambiamento climatico che la sta portando ad un punto di non ritorno, perché l’innalzamento delle temperature diminuisce la sopravvivenza dei giovani, mentre l’inacidimento delle acque riduce le capacità sensoriali e il loro istinto a migrare. La storia dell’anguilla è in effetti quella di migrazioni gigantesche e misteriose, pesci che viaggiano per quattromila chilometri dai corsi d’acqua dolce e dalle lagune dell’Europa fino al Mar dei Sargassi, al centro dell’Atlantico settentrionale.
Da Comacchio al vasto oceano per riprodursi e morire lì, e poi tornare come neonate larve, trasportate fino al Mediterraneo da correnti oceaniche che il cambiamento climatico sta inesorabilmente rallentando, deviando verso rotte sconosciute. Ma se il loro percorso non incontra ostacoli arrivano infine sulla costa europea come glass eels, giovani pesci lunghi e trasparenti, e pian piano diventano nere e poi argento, per ricominciare un ciclo che l’uomo non è in grado di replicare con l’allevamento, e nemmeno di comprendere ancora del tutto. Se il declino continua ai ritmi degli ultimi anni, potremmo non riuscirci mai.
Sono prospettive drammatiche per Comacchio, che velano la gioia della giornata della regata. Per non pensarci Emanuele cambia argomento, si allontana dal centro, ci conduce verso il canale dove si terrà la regata per vederne la partenza. In qualità di ex campione, Emanuele viene assediato dagli sfottò dei vogatori anziani e dalla richiesta di suggerimenti da parte dei più giovani, e solo miracolosamente riesce ad allontanarsi verso il bordo del canale, dove ci mettiamo in tranquillità di fronte alle barche pronte a partire.
Le silhouette si stagliano su un un tramonto dorato su cui gravano le nuvole nere di una tempesta in arrivo, mentre Emanuele urla un “non date retta a niente e nessuno! Nessuno!” alla coppia di vogatori tredicenni, i più giovani dell’evento, che passano davanti a noi, quasi fosse il loro fratello maggiore. Mentre davanti a noi si alternano false partenze, minacce di pioggia e raffiche di vento con Emanuele ci ritroviamo a parlare di Comacchio e cambiamento climatico, del futuro delle valli.
Lui ha lavorato con l’UNESCO in quanto rappresentante della riserva di biosfera del Delta e ha ben chiari i dati sulla perdità di biodiversità e sulle estinzioni di massa, si domanda come non ci si stia allarmando di fronte alla scomparsa delle anguille, alle trombe d’aria che devastano le valli sempre più fragili. Dice che lui non vorrebbe trasferirsi come tanti amici andati a Londra o a Berlino, che ama la sua terra e che vorrebbe rimanerci per sempre, ma che il futuro è sempre più incerto.
Rimanere o andarsene, è la domanda più importante, ma rimane senza risposta; allora Emanuele abbozza un sorriso e lascia cadere la questione, per guardare alla conclusione della regata e al passaggio dell’ultima coppia di vogatori, fradici dopo una rovinosa caduta dall’instabile imbarcazione.