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Il Mestiere del Mare
Mediterraneo

Come spesso accade, anche quel weekend di fine giugno Antonio era uscito con la barca. Quel giorno, però, qualcosa era diverso dal solito. “L’acqua del mare a 28 gradi non l’avevo mai vista.”

L’aumento della temperatura superficiale del mare è uno degli effetti più evidenti dei cambiamenti climatici nel Mediterraneo. Paolo Mossone, direttore dell’International Maritime Centre, racconta che per questo motivo sono sempre più numerose, nelle acque della Sardegna occidentale, specie tropicali invasive come il barracuda. I predatori autoctoni come l’orata e la spigola, minacciati nel loro habitat naturale, si rifugiano nelle numerose lagune del golfo di Oristano. È in una di queste lagune, presso la peschiera Sa Mardini, che Antonio lavora come pescatore.

“È vero” dice Siro, collega di Antonio “di orate fino a tre o quattro anni fa ne pescavamo pochissime nello stagno di Cabras. Adesso ce ne sono molte di più. Anche le spigole sono triplicate”. Non che per gli affari questo sia un male, tutt’altro: le spigole si vendono ad un buon prezzo. Ma anche i pescatori si rendono conto che qualcosa sta cambiando. Quest’anno, ad esempio, lo stagno è pieno di piccole meduse che rimangono impigliate nelle reti e, coi loro riflessi fluorescenti, tengono i pesci alla larga. Anche nella laguna l’acqua è più calda.

“L’altro problema è la siccità,” aggiunge Siro. “Le annate di pioggia sono annate buone per la pesca, perché l’acqua che scende da valle crea corrente ed attira il pesce. Con la siccità l’acqua è ferma, dal mare arrivano meno pesci. E succede sempre più spesso. Quest’anno è andata abbastanza bene, ma in certi punti della laguna, dove prima c’erano due o tre metri d’acqua, ora ci sono 40 centimetri”.

La laguna sta cambiando, ed i pescatori provano ad assecondarla. “Il passo più importante per la popolazione” dice Giorgio Massaro, biologo, “è proprio riconoscersi come parte di un ecosistema”. Preservare e revitalizzare gli ecosistemi dell’area del golfo di Oristano è uno degli obiettivi del progetto Maristanis, sul quale Giorgio lavora da anni. “Se raggiungono un buono stato di conservazione, gli ecosistemi delle zone umide si adattano piuttosto efficacemente ai cambiamenti climatici,” conclude.

Non è sempre così. Qualche chilometro più ad ovest, in fondo al mare, i fondali coralligeni sono inermi all’acidificazione e all’aumento della temperatura dell’acqua. Oltre all’ecosistema, è a rischio un mestiere unico al mondo. Da maggio a settembre, ogni mattina in cui il mare lo permette, Nicola Lanzetta parte dal porto di Torre Grande per andare a pesca di corallo. È una delle tredici persone autorizzate ad indossare la tuta subacquea, immergersi a cento metri di profondità e camminare sui fondali della Sardegna occidentale, dove vive il corallo rosso. Anche se usa le bombole al posto delle reti, Nicola è custode di una tradizione che risale all’età nuragica, e che viene spontaneo domandarsi quanto potrà durare.

Poi Nicola si immerge, e la domanda rimane sospesa sulla superficie mare.



Siro Massa assieme ad altri pescatori del consorzio Pontis durante una battuta di pesca nello stagno di Cabras.
Nicola Lanzetta, pescatore di coralli, risale lentamente verso la superficie del mare dopo esser andato a pesca di corallo sui fondali della Sardegna occidentale, a largo del Golfo di Oristan

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