

Il Fringe è il festival di teatro più grande al mondo, un evento che ogni agosto tinge le grigie vie di Edimburgo di uno splendore dorato, frenetico e un po' folle. Il Fringe è un turbinio multicolore di persone, manifesti attaccati alle pareti e oltre cinquemila spettacoli, ospitati nelle grandi halls come nei pub, nelle cabine telefoniche, nei sentieri che attraversano il grande parco dei Meadows e perfino negli autobus. C’è teatro ovunque e in ogni momento: le decine di migliaia di visitatori contesi tra circensi e artisti concettuali, tra la stand-up comedy ed i performer di strada, che ripetono ogni giorno lo stesso pezzo per strappare una manciata di spettatori in più agli artisti affermati.
L'unico grande assente a questa festa collettiva sembra essere il cambiamento climatico. Nelle 461 pagine di programma del Fringe, “climate change” viene nominato solo nove volte. Quasi non c'è traccia della rivoluzione rinnovabile che sta prendendo piede nelle ventose Highlands scozzesi, né l'eco delle proteste dei ragazzi dei Fridays for Future. Sembra quasi che l’inesauribile joie de vivre che riempie le vie di Edimburgo durante il festival non voglia essere scalfita dall’incombere della catastrofe climatica.
In una delle sale di Summerhall, uno dei teatri più famosi del Fringe, riusciamo in realtà a scovare uno spettacolo a matrice ambientalista. Tom Bailey, attore ed attivista di Extinction Rebellion, interpreta “il futuro che dovremo affrontare se non agiamo oggi”. Scandisce ritmicamente i nomi delle specie in via di estinzione, accompagnando questa cupa litania con una drammatica interpretazione delle specie in questione. Ma si tratta di un'eccezione. Per il resto, sembra quasi che i visitatori del Fringe siano desiderosi di farsi accecare dalle luci del palcoscenico per dimenticare il mondo intorno.
L'unica vera eccezione del festival è la Greenhouse – letteralmente, “la serra”. Si tratta di un teatro incastrato tra le verdi colline di Holyrood, un'area naturale poco oltre la Royal Mile, nel centro di Edimburgo. È poco più grande di una stanza, costruito tutto in materiali riciclati – le assi di legno sono tutte differenti, le porte provengono da chissà dove, la scenografia sono un pavimento d'erba ed una manciata di tronchi. L'hanno messo in piedi una trentina di studenti di teatro, tutti sotto i venticinque anni, con l'idea di fare spettacoli all'altezza del Fringe che avessero però il minore impatto ambientale possibile. “Non vogliamo essere perfetti” dice Oli Savage, uno degli studenti “ma semplicemente far vedere che la sostenibilità si può raggiungere senza rinunciare all'arte. Se ci riusciamo noi, che siamo studenti con pochissimi fondi, può farlo tutto il festival”.
L'obiettivo a lungo termine è ancora più ambizioso: vogliono cambiare la mentalità dell'intero settore teatrale. “Non possiamo più accettare l'idea che l'arte venga prima di tutto. Forse non riusciremo a convincere i grandi palchi del Fringe, ma speriamo di coinvolgere altri ragazzi come noi. Le cose devono cambiare”prosegue Oli “stiamo vivendo un'emergenza: non possiamo più permetterci che la sostenibilità venga messa in secondo piano”.
E a noi sembra quasi che, sotto le onnipresenti nuvole del cielo scozzese, questa piccola casetta di legno brilli di luce propria e più di tanti altri palchi, più grandi e più conosciuti.