

“Quando ci siamo conosciuti era ossessionato da questa casa” afferma sorridendo sua moglie, Laura Del Rio. “Ma nemmeno io avevo intenzione di restare per sempre a vivere in città. E quindi, eccoci qua.”
Laura e Antonio siedono ad un basso tavolinetto in legno scuro, di fronte a una cerveza, nell'ampio salone dell'antica casa di campagna della famiglia Maurandi. In origine, la casa era il cuore pulsante di una corticada, un'azienda agricola nel tempo trasformatasi in un piccolo villaggio, animato da decine di persone. Come accadde in migliaia di villaggi della Spagna meridionale, a partire dagli anni Settanta anche la frazione di Fuente Grande si svuotò dei suoi mezzadri e dei suoi contadini, in fuga dalla loro terra arida. La corticada dei Maurandi era anch'essa, fatto salvo il suo edificio centrale, ridotta ad un ammasso di ruderi. Antonio sentiva di voler dare un altro finale a questa storia. Provò con un nuovo approccio: “quando ci siamo trasferiti avevamo un concetto chiaro in mente: fare tutto in maniera sostenibile”.
Oggi, Antonio è un imprenditore di AlVelAl, un'associazione regionale per la sostenibilità agricola, ma soprattutto un movimento di ricercatori e imprenditori unito dalla volontà di affrontare il cambiamento climatico e la desertificazione con un approccio sostenibile a livello ambientale, sociale ed economico: quindi rendere il terreno fertile, prendersi cura di chi lo lavora ed essere competitivi sul mercato. Al cuore del pensiero di AlVelAl c'è il concetto di agricoltura rigenerativa, un'idea di coltivare la terra che lentamente restituisce ai campi i loro nutrienti, e con essi la capacità di ripristinare autonomamente la propria fertilità. Si tratta di coltivare restituendo alla campagna parte di quello che si è preso.
Sotto il sole rovente, Antonio e Laura ci mostrano le tecniche che hanno adottato nei loro campi: l'intercropping, ovvero l'idea di unire diverse specie – alberi fruttiferi e piante selvatiche – su uno stesso terreno per arricchirlo e ripristinarne la naturale fertilità. Le swales sono invece un sistema di canali poco profondi che facilitano la distribuzione dell'acqua piovana nei campi coltivati “e nelle mie isole di biodiversità”, dice Antonio, indicando i campi interamente coltivati a erbe aromatiche e fiori che fanno da rifugio agli insetti impollinatori. Accanto, un laghetto “che ho costruito con le mie mani; alle api piace molto”. Tutto nella finca è fatto per ridare vita al suolo e far fronte all'erosione. Per AlVelAl questa è la madre di tutte le battaglie: dal 2014 l'associazione ha piantato, per consolidare i fianchi delle montagne, decine di migliaia di querce ed oltre cinquantamila ettari di mandorli.
Scegliere di seguire la filosofia di AlVelAl non è stato facile. Quasi nessuno aveva fiducia nelle sue idee innovative. “Anche i miei genitori, quando parlavo di agricoltura rigenerativa, dicevano che ero pazzo. Dicevano che, se proprio dovevo tornare a lavorare la terra, allora che lo facessi come si deve” sospira Antonio. “Ma per noi questo non è un hobby molto costoso.È un lavoro duro, che il cambiamento climatico rende ancora peggiore. Lo facciamo per dimostrare che un'alternativa esiste”. In quel momento fanno capolino nella stanza Bárbara, Diego e Violetta, i suoi tre figli. “Voglio che per loro vivere a contatto con la natura non sia una strana eccezione, ma un modo naturale di vivere la vita.” Perché conoscere la natura e proteggerne la biodiversità significa dare ai figli un futuro migliore.
“In fondo” conclude Antonio con un sorriso “lo facciamo per loro”.