

Attorno al villaggio, si estendono a perdita d'occhio solo dune rocciose e bianche colline, riarse dal feroce sole d'Almerìa. Ci sono soltanto delle piantagioni di ulivi a coltivazione superintensiva ad interrompere un paesaggio da film Western. All'interno del canyon lo scenario è diverso: una vegetazione lussureggiante, d'un verde brillante, incornicia una manciata di antichi casolari bianchi. Prestando l'orecchio, si avverte onnipresente lo scrosciare cristallino del rio Aguas. È qui che, nascosto da sguardi indiscreti, sorge l'eco-villaggio di Sunseed.
Sunseed fu fondato negli anni Ottanta da un gruppo di ragazzi britannici che volevano sperimentare soluzioni alternative contro la desertificazione. Si stabilirono nei casolari di Los Molinos, creando quella che all'apparenza è una via di mezzo tra un villaggio sostenibile e una comune hippie. Tutt'ora ne conserva l'aspetto caotico: l'eco-villaggio è piccolo ma labirintico, si sviluppa su diversi livelli in un intrico di stanze, aree comuni, dormitori, nuove scalinate e vecchi lavatoi; l'ordine prevale solo nei campi vicino al fiume, piccoli ma curati. Ogni mattina, tutti assieme, si decide chi lavorerà nei campi e chi riparerà i pannelli solari.
Eppure, Sunseed non è semplicemente un eco-villaggio. Col tempo, il progetto si è evoluto “in un'accademia di educazione non formale per la transizione verso la sostenibilità” dice Jorge Santos, responsabile della comunicazione del progetto. La scuola è divisa in otto dipartimenti, da drylands a organic farming, nei quali gli studenti possono approfondire le tematiche legate allo sviluppo sostenibile ed i loro aspetti pratici. I ragazzi che la frequentano non sono più gli hippies e i treehuggers degli anni Ottanta, quanto piuttosto i giovani che si riconoscono sotto le bandiere dei Fridays for Future e dei green parties Europei. Portano con sé una nuova visione ambientalista, forse meno integralista ma in grado di coinvolgere un pubblico più vasto. Provengono dai background più disparati: a dar vita al villaggio sono accenti inglesi e volti balcanici, e poi giardiniere austriache, studentesse di business francesi ed esperti spagnoli di scienze ambientali.
Negli ultimi vent'anni, l'idillio di Sunseed si è fatto sempre più fragile. La desertificazione nell'area è avanzata, perché di acqua ce n'è sempre meno. Si tratta, in parte, delle inevitabili conseguenze del cambiamento climatico nelle regioni mediterranee, inclusa l'Andalusia. A Los Molinos, però, un ruolo determinante lo giocano le piantagioni superintensive di ulivi, che per essere mantenute stanno divorando le già scarse risorse idriche della zona. Già nei primi anni Duemila, per irrigarle veniva pompato il triplo di acqua sotterranea rispetto agli anni Sessanta. “L'estrazione è arrivata al livello di acqua fossile, quella che sta nel terreno da centinaia di migliaia di anni” dice Jorge, sconsolato “forse abbiamo già passato il punto di non ritorno”.
Le sue parole sembrano assurde; le pronuncia mentre le fresche acque zaffiro del Rìo Aguas scorrono a pochi passi da noi. Ma sono reali: con questi ritmi di utilizzo sconsiderato e aumento delle temperature, quasi l'80% delle risorse idriche sotterranee della Spagna potrebbe esaurirsi nei prossimi trent'anni. L'Almerìa potrebbe diventare un deserto artificiale senza rettili, mammiferi o arbusti, coperto solo dalla polvere. Non sopravviverebbero più nemmeno per le piantagioni di ulivi.
Dell'oasi nel deserto non resterebbero che qualche ricordo arrugginito ed un cumulo di macerie.