

Lo dirige un pilota di Helsinki e il giovane Tuomas Semenoff, presidente sami della cooperativa, appartenente cioè all’ultima popolazione indigena europea. Sono i custodi della Sapmi, quella conosciuta altrimenti come Lapponia.
Mentre il figlio dirige il branco dall’alto come un direttore d’orchestra, suo padre Penti si dirige verso un recinto dove sono già state portate alcune renne, e a cui deve dare da mangiare. “Sono magre, molto magre” dice un po’ sconsolato una volta entrati, spargendo prima pellet legnosi, che le renne usano per attivare lo stomaco, e poi un fieno dall’odore forte, acre. Le renne lo circondano, mansuete, come fossimo in una stalla piena di vacche. Penti però non le accarezza, non le tratta con la familiarità di un animale addomesticato: la loro anima è selvatica e tale deve rimanere. Per un sami vedere una renna in un recinto è una sofferenza a tratti necessaria, ma che deve durare il meno possibile. L’idea di tenerle sempre in uno spazio chiuso, foraggiandole ogni giorno, è inaccettabile, ma il cambiamento climatico rischia di renderlo necessario per molti in Lapponia. “La scorsa estate è stata caldissima, fino a trenta gradi. E molto secca” dice Penti. “Le femmine sono deboli, e hanno generato piccoli altrettanto deboli. Alcune hanno deciso di non procreare, proprio perché sentivano di non averne la forza”. Gli chiedo cosa si aspetta dall’inverno. Penti rimane in silenzio pensando a una risposta mentre lancia grandi manciate di muschio; un odore di bosco copre il lezzo del fieno mentre le renne, dopo aver quasi ignorato il resto del cibo, si contendono questo a spintoni e cornate. “Se sarà un inverno duro, le più deboli moriranno. Dovremo vendere i giovani al macello. Sarà un momento difficile per noi.”
Nelle parole di Penti ci sta la conferma diretta di fenomeni che centri di ricerca come il LUKE, l’istituto nazionale per le risorse naturali finlandesi, ormai danno per accertati: il dimagrimento delle giovani renne nelle ultime due decadi, l’avanzata di parassiti mai visti nel Nord, come la Lipoptena cervi, una mosca che un tempo colpiva solo le popolazioni meridionali di cervi e adesso avanza nel Circolo Polare Artico, colpendo alci, renne in misura in realtà ancora sconosciuta. Mancano dati, informazioni su cambiamenti che a sud sembrano novità, ma che per gli allevatori a Nord sono invece una drammatica realtà dai confini indefiniti. In questo senso, ancora una volta i primi testimoni del cambiamento climatico sono le persone che lavorano sul campo, e in questo senso la collaborazione tra i ricercatori e gli allevatori di renne è e sarà fondamentale per definire un quadro dai contorni ancora incerti. In fondo, quello che fa più paura è l’incertezza non solo del futuro, ma del presente stesso.
L’allevamento è in effetti l’asse intorno al quale ruota per molti la sopravvivenza della cultura dei sami, un popolo che sta all’Artico europeo come gli inuit a quello nordamericano o i nenets a quello russo. Il loro insieme di lingue, tradizioni, credenze religiose, modi di vivere e conoscere che nei quattro decenni successivi alla Seconda guerra mondiale sono praticamente spariti, minacciati dalla brutale “scandinavizzazione” che Norvegia, Finlandia e Svezia imposero ai sami. L’allevamento delle renne rimase l’unica attività con cui potevano allo stesso tempo proseguire le propria vita secondo tradizione, trovare sostentamento e tenere lontana l’invasiva presenza degli scandinavi, raramente interessati a una pratica non redditizia e di cui sapevano poco o nulla. Ciononostante, il loro numero andava sempre di più assottigliandosi; alcuni sami cedevano e si occidentalizzavano, vittime della pressione sociale o della tentazione di una vita o di un lavoro più facili. I tempi sono cambiati, i sami vivono ora un equilibrio relativamente pacifico con i propri vicini ma, in un Artico sempre più caldo, gli ultimi custodi di questo piccolo mondo antico rischiano ancora di scomparire, perché il cambiamento climatico non rende solo più difficile l’allevamento, ma anche più facile lo sfruttamento di terre che, all’aumentare delle temperature, si fanno sempre più accessibili.