

Vuole mostrarci i danni inflitti dalla compagnia Inarin Yhteismetsä che secondo lui taglia ancora foresta primaria, nonostante il divieto seguito alle battaglie sue e di Greenpeace. Ma arriviamo troppo tardi, quando ormai la foresta non c’è più. Davanti a noi c’è solo un orizzonte sgombro, punteggiato da qualche albero lasciato in piedi – una decina in totale su oltre un chilometro quadrato – e dalle cataste di legna già coperte da un sottile strato di neve. L’harvester, la macchina per il taglio rapido dei tronchi, giace quieta in un angolo, le sei ruote gigantesche intrappolate nelle catene spesse come un polso. Lì sopra si trova un taglialegna che, una volta accortosi della nostra presenza, si affretta a raggiungerci. A differenza di quanto ci aspettavamo non ci aggredisce; è un signore settantenne che inizia invece a raccontare la situazione a Jarmo con calma e solo una punta di fastidio. Spiega che quella mattina è arrivato un consulente che lavora per la compagnia intimandogli di interrompere il taglio, perché forse è condotto in zone dove sarebbe proibito e potrebbe portare alla revoca della concessione. Si sono dovuti così fermare subito dopo, limitando il disboscamento all’area che abbiamo davanti: 80 ettari, un’enormità per i nostri occhi, troppo poco per lui che, come tanti altri taglialegna, viene pagato per ogni metro cubo di legna tagliata.
“Tutto questo vanifica tanti dei nostri sforzi contro il cambiamento climatico” dice Jarmo; si riferisce alle emissioni prodotte dalla Finlandia, che nel 2018 sono di nuovo aumentate, principalmente per lo sfruttamento intensivo delle foreste. “Se una foresta viene lasciata crescere assorbe CO2; quando viene tagliata per essere bruciata, come avviene in questo caso perché il legno è di bassa qualità, rilascia tutto quello che aveva conservato per centinaia di anni. E diventa parte del problema.” Per Jarmo l’atteggiamento del governo finlandese è contraddittorio ed estremamente pericoloso: da un lato promuove le rinnovabili e molte misure di mitigazione del cambiamento climatico. Dall’altro taglia le proprie foreste a un ritmo insostenibile, vanificando i propri sforzi. Non a caso durante la propria presidenza del Consiglio europeo la Finlandia ha promosso gli obiettivi per il clima al 2030 e al 2050, ma ha strenuamente combattuto per far sì che la gestione forestale rimanesse una competenza nazionale. In un paese coperto al 74% da foreste, questo significa mantenere il controllo su di una risorsa chiave per l’economia del paese, ma anche di mettere a rischio il raggiungimento dei propri obiettivi per il clima – l’aumento delle emissioni nel 2018 è arrivato proprio dopo il lancio nel 2017 di una strategia per energia e cambiamento climatico che ha promosso un aumento della deforestazione del 25%. Questi dati riguardano tutto il paese ma, secondo Jarmo, in Lapponia, questo disboscamento senza controllo fa danni ancora peggiori, perché la perdita è inestimabile.
Per dimostrarlo ci porta qualche chilometro più avanti, dove la foresta è ancora intatta. Pochi metri dopo aver lasciato la strada principale per proseguire a piedi ci troviamo così dentro a un bosco caotico, primordiale: gli alberi sono storti, intrecciati, ci sono tronchi caduti su cui è cresciuto un sottobosco fitto che la neve alta riesce solo in parte a nascondere. Gli alberi sono quasi tutti coperti da una lanuggine grigia e ispida, un licheno dal nome antico, il Pleurozium schreberi. È una foresta che non ha nulla in comune con i boschi geometrici, totalmente antropizzati che abbiamo visto in Spagna, filari e filari di alberi senza un cespuglio, vuoti, silenziosi. Qui si percepisce movimento e vita anche nel gelo dell’inverno: si vede una coppia di renne in lontananza, il nero e il rosso dei fagiani di monte spaventati dalla nostra presenza tinge in volo il bianco delle chiome degli alberi. “Questa foresta è qui da almeno novemila anni. È un ecosistema unico e prezioso, perché questi licheni nutrono la fauna e le renne, e crescono solo su alberi vecchi di almeno un secolo. Nelle altre foreste finlandesi, quelle gestite dall’uomo, non vengono concessi più di sessant’anni di vita ad un albero. Molti di questi alberi ne avranno cinque o seicento. Sembrano piccoli rispetto a quelli che si trovano a sud, ma crescere nell’Artico gli costa grande fatica” dice Jarmo, interrompendo per un secondo un discorso che in parte sembrava rivolto a noi, in parte alla vecchia amica che lo circonda. “Una volta sparita, non tornerà più” sono le sue ultime parole. Dopo, solo il silenzio.